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Professor Paolo Levi  Critico d'Arte
Mapo è pittore di pensieri e di improbabili accadimenti, un poeta dell'attesa, che disegna il silenzio inventando orizzonti metafisici. Le sue visioni provengono dalla cultura del Novecento, e non solo dai maestri del Surrealismo, ma anche dalla pittura dell'assenza, come quella di Giorgio De Chirico; i suoi scenari di figure e oggetti così ben delineati, enunciano l'affermazione che la vita non è altro che un sogno intermittente, illusione, forse menzogna e comunque mistero non decodificabile. Interrogandosi, egli agisce con una manipolazione di figure e oggetti immobilizzati in un contesto di elementi concettualmente spiazzanti. La sua tavolozza è solare e fluida, amando le stesse tonalità di De Chirico, o di Scipione, mentre la sua espressività ha la dote non scontata di una notevole pulizia formale. Il silenzio che avvolge queste preziose composizioni potrebbe anche apparire come l'intenzione rappresentativa di una razionalità che preordina gli accostamenti figurali secondo gli schemi e i percorsi dei suoi predecessori del Surrealismo; ma la luminosità e la fantasmagoria delle sue stesure, le prospettive profonde e le mises en abîme rivelano l'irruzione di un fantasticare ancora più complesso e problematico, che si nutre anche di emozioni, di impressioni soggettive e, probabilmente, della materia dei suoi stessi sogni. Mentre definisce i confini tra una probabile verità e l'enigma  esistenziale, egli lascia intravvedere lo scandaglio della sua coscienza, e forse anche la traccia di eventi connessi alla sua esperienza di vita. Ognuna  di queste apparizioni può quindi definirsi un atomo di memoria, che si è fissato in una pittura intelligente e in un impaginato allusivo denso di simboli e di avvertimenti etici.
Professor Paolo Levi

Dottor Valtero Curzi Critico d'arte, Euro Art
Lo sguardo emozionale nel quale l'artista Mapo definisce la sua arte può essere ben rappresentato dalla sua opera < Ego sum qui sum >, io sono colui che è. Nel riferimento biblico de L'Esodo (III, 14), sono le parole che Iddio riferisce a Mosé, ma nella dimensione umana, trasferendo il senso emozionale nell'espressione d'arte come messaggio o discorso, “essere colui che è”  diviene anche la determinazione della coscienza esistenziale che determina propriamente sé. Ma essere colui che è, è il Logos, il pensiero e nella meditazione Zen – essere sé – è propriamente lo Zazen. Lo Zazen, o meditazione seduta o meno, è effetto del Samsara, misura del fermarsi che è definirsi in “quell'oceano dell'esistenza” dove la vita è definita dalla sua stessa negazione. La vita è posizione, è meditazione, è Zazen, e lo stare seduto è semplicemente il luogo del vivere. Lo Zazen non è momento particolare, è la trascendenza dell'Io su se stesso, è l'atto del vivere intensamente la vita, è lo sprofondare dentro e oscurare ogni oscurità interiore. E' – l'alba e il tramonto – come nella sua opera dove il chiaro percorre l'ombrarsi su piani dimensionali che definiscono l'esistere nella sua essenzialità individuale. Il simbolismo del sorgere e del tramontare della luce è proprio la posizione esistenziale dell'anima, che seduta su di sé coglie nel suo essere “solamente sé”. Ecco il Samsara o atto di individuazione di sé nella dimensione che lo accoglie, e non è altro che avere coscienza e prendere atto che il proprio meditare è la sola dimensione certa e assoluta di sé. Il divenire Samsara, e lo Zazen è stare in quel divenire, lasciandosi trasportare senza toccare ciò che di materiale è trasportato dal divenire. Ma il divenire è dimensione poietica, creazione, è passaggio da ciò che non è a ciò che è, è generare. Nell'opera – Genitrice -, ossia colei che genera, la madre, o anche la – Madre Natura -, è colta questa dimensione assoluta come condizione necessaria all'esistenza. Perché tutto ciò che è divenire, anche l'esistenza umana, ha il suo punto di definizione in ciò che è creazione e atto generante. La Genitrice possiede la vita. E se tutto scorre, qualcosa scorre in quel tutto, e non lasciarsi trasportare in quel vortice è propriamente Zazen, meditare, sentirsi solamente nel proprio pensiero meditativo, che è assolutamente puro, come puro è l'Essere. Mapo agisce proprio in quello sguardo che supera l'oggetto stesso rappresentato ponendosi oltre lo stesso. E' ricerca del luogo trascendente dove dimora l'Anima e il luogo dell'anima è l'anima stessa, nella misura in cui essa per essere deve porsi in qualcosa, o luogo, o in un “sentire”. Se l'anima è “soffio” o “vento”, dal greco anemos, il luogo ove essa risiede è la sua determinazione ad essere quel che rappresenta nel suo divenire stato emozionale. Ma dimorare nell'impalpabilità del “soffio” significa essere allo stesso tempo impalpabile, ma nessuna cosa “dimora” in qualcosa essendo impalpabile. Il luogo quindi in cui essa, l'anima, può dimorare o farsi contenere è necessariamente ciò che essa contiene, divenendo la sua stessa consistenza e identità. E' la sua essenza che fa “luogo”. Nelle opere di Mapo, - Il barone Rosso -, - Trascendenze urbane -, - Interno di un iperrealismo -, ma soprattutto nell'opera – Silente -, l'anima non ha luogo ove potersi porre, quanto è dimensione che unisce vari luoghi. L'anima diviene “ponte” fra la condizione materiale contingente che pur la contiene e la dimensione spirituale che non può porsi come entità. L'anima che unisce due confini diviene creatrice, progetto, o progettualità a unire. Il ponte, infatti, prima di unire deve essere costruito, ma il farlo necessita la volontà di unire due dimensioni o termini contrapposti. Il luogo dell'anima è allora la dimensione “ponte” fra la pura coscienza esistenziale e la sua necessità di porsi in un contesto che la significhi e gli dia senso compiuto oltre di sé. La spiritualità è proprio questo contenersi al di la della precaria condizione esistenziale. Il luogo dell'anima è lì, nel suo farsi materiale come luogo ma al contempo nel superamento del contingente materiale in un contesto spirituale in cui ciò che entra vi entra per sempre. Al fine non esiste un luogo ove porsi per l'anima, perché è essa stessa che unendo, facendo da ponte, crea il luogo. L'anima allora diviene – Divinità -, ma a differenza di Dio che non ha nulla fuori di sé perché è egli stesso – luogo - o meglio Logos, essa crea, costruisce, unendo, ma l'unire è sempre un costruire un luogo. Ecco il < Ego sum qui sum >. Io sono colui che è, ma per l'anima essere è necessariamente creare, o crearsi. Siamo cioè Energia, en-ergon, produzione di lavoro, capacità di agire. In quel precisissimo istante in cui esprimiamo la nostra energia esistenziale, cioè viviamo, esercitiamo la nostra capacità di agire. Noi, infatti, viviamo e agiamo come potenziali contenitori del Tutto e inconsciamente viviamo come fossimo il Tutto nella dimensione in cui viviamo. Essere il Tutto è anche essere il Nulla di sé. L'opera di Mapo si concede anche alla metafora, che dal greco significa “io trasporto”, per definire in essa un messaggio, anche poetico, in cui poter determinarsi. Il significare attraverso il segno diviene quel dire che si appropria d'immagini e segni per dire, e come scrive Aristotele nella Poetica, “trasferimento a una cosa di un nome proprio di un'altra o dal genere alla specie o dalla specie al genere o dalla specie alla specie o per analogia”. L'immagine data, attraverso il segno che la determina, definisce un voler significare dove il significato è rimandato all'osservatore che nell'apparente asetticità del veduto astrae il senso metaforico impresso all'immagine. Il segno o segni allora divengono messaggi ordinanti concetti e definizioni che trovano dimora nella capacità osservatrice di chi guarda. Il rappresentato non diviene quindi il dato definito ma il mezzo cui appunto la metafora trasporta il significare dal suo definirsi di segno al significare all'osservatore. Ma in quel “trasportare” significato, l'immagine, attraverso la metafora, si definisce come testimonianza artistica, si prende carico di segni e definizioni per ordinarli in una composizione, anche simbolica. L'esser dato diviene allora opera d'arte nel momento in cui concedendosi, è accolta e definita nella sua essenza interpretativa esatta. L'artista Mapo, quindi, si concede il segno, il quale traccia una realtà, anche immaginata, per potersi esprimere in una dimensione anche metafisica, ma che è propriamente espressività artistica di sensibilità ed emozionalità, e che può potersi definire in immagine concreta, appunto attraverso il rimando metaforico. La realtà allora appare dal suo stesso svelarsi, e il vero sta oltre il suo nascondimento. L'arte è appunto ri-prendere in quel nascondimento fenomenologico.



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